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La tradizione vuole che sciac e trai ("schiaccia" e "lascia lì", nel dialetto dell'estremo levante ligure) sia insieme l'origine del nome e un'indicazione di come si crea questo passito letteralmente unico al mondo.
Gli studiosi, invece, pensano ad etimologie più colte, come Shekar, parola armena che indica il vino offerto a Dio; altri propongono Sakkar, saccarosio. In effetti, è probabile che i greci abbiano portato via mare anche nella Cinque Terre un antichissimo uso di tutti i popoli mediorientali: lasciar passire le uve migliori. Il nettare che ne nasceva era considerato, contemporaneamente, un dono degli dei e per li dei.
Ignari di tutti questi riferimenti classici, gli abitanti dei cinque borghi lo chiamavano Refursà, cioè "rinforzato" dall'appassimento e quando nasceva un bambino gliene preparavano un corredo di fiaschi (allora era questo il recipiente).
È il grande pittore macchiaiolo Telemaco Signorini, a fine Ottocento, a battezzare, per la prima volta col nome Sciacchetrà questo passito, e a descriverlo perfettamente: "vengono stese al sole le migliori uve per ottenere il rinforzato o Sciaccatrà, che così è chiamato un vino forte quanto il marsala, squisitissimo, un vero liquore da beversi in piccoli bicchieri, color dell'oro più brillante".
Nonostante la sua lunghissima storia questo vino esclusivo delle Cinque Terre, è nato, come DOC, solo nel 1973.